Rifiuti e principio di precauzione: la Corte di Giustizia UE smentisce la Cassazione italiana.

La Corte di Giustizia Europea, interpellata dalla Corte di Cassazione penale italiana in merito alla delicata questione della classificazione dei rifiuti con codici CER speculari, ha espresso un principio fondamentale: “nessuna disposizione della normativa dell’Unione in questione può essere interpretata nel senso che l’oggetto di tale analisi consista nel verificare l’assenza, nel rifiuto di cui trattasi, di qualsiasi sostanza pericolosa, cosicché il detentore del rifiuto sarebbe tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità di tale rifiuto”.

Smentita, dunque, la giurisprudenza italiana che, invece, ha sempre ritenuto che in caso di rifiuti con codice a specchio, la pericolosità deve essere presunta. Questa lettura delle norme era giustificata in base al principio di precauzione a mente del quale, in caso di dubbio, il detentore del rifiuto deve presumere che questo sia pericoloso.

Le conseguenze dell’orientamento italiano per chi è sottoposto a giudizio per la non corretta gestione dei rifiuti erano gravi: l’accusa non aveva l’onere di dimostrare la natura pericolosa del rifiuto e, invece, gravava sull’imputato la (difficile e costosa) prova dell’assenza di contaminanti nel residuo. In questo modo, ad avviso delle difese, si inverte la regola dell’onere probatorio e si viola il principio costituzionale della presunzione di innocenza.

La Corte di Giustizia Europea è stata chiarissima ed ha spiegato che il principio di precauzione non significa affatto che esiste una generale presunzione di pericolosità che deve essere rovesciata dal detentore di rifiuti attraverso l’analisi completa del residuo.

Di conseguenza la giurisprudenza italiana è stata smentita anche sotto un altro aspetto: i giudici europei hanno infatti negato la cittadinanza alla c.d “tesi della certezza” in materia di caratterizzazione del rifiuto, che i nostri Tribunali avevano invece sposato.

Come noto di codici CER c.d. “a specchio” identificano quei rifiuti che possono essere sia pericolosi che non pericolosi. La differenza è data dalla presenza, nel residuo, di contaminanti al di sopra delle soglie previste dalla normativa.

Secondo la giurisprudenza italiana il detentore del rifiuto ha l’obbligo di cercare tutti i possibili contaminanti previsti dalla legge. Di diverso avviso la Corte di Giustizia Europea che, mettendo l’accento sul fatto che non gli obblighi di gestione dei rifiuti non devono essere “irragionevoli”, né dal punto di vista tecnico che economico, ha sposato la c.d. “teoria probabilistica”.

Il detentore è dunque tenuto a cercare soltanto i contaminanti la cui presenza è probabile o ragionevole. Questa valutazione è fatta partendo dalla conoscenza del ciclo produttivo che genera il residuo e dalle schede del prodotto: le analisi chimiche, dunque, saranno effettuate sulla scorta delle indicazioni provenienti da quella valutazione.

Resta però l’obbligo della attenta ed esaustiva caratterizzazione; solo al cospetto del dubbio circa la presenza di contaminanti, che non sono stati accertati, il detentore ha l’obbligo di procedere alla classificazione di pericolosità.

Vedremo come la giurisprudenza italiana reperirà le indicazioni della sentenza sovranazionale.

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