La Corte di Giustizia Europea e l’obbligatorietà delle analisi chimiche dei rifiuti.

La sentenza della Corte di Giustizia Europea del 29 marzo 2019 ha affrontato, sebbene in maniera indiretta, anche il tema dell’obbligatorietà delle analisi chimiche dei rifiuti.


Il quesito, in sostanza, è il seguente: ai fini della corretta classificazione, è obbligatorio procedere alla analisi chimiche dei rifiuti con codice speculare? E, in caso affermativo, su chi grava tale obbligo?


Sul quest’ultimo punto, giova evidenziare che la normativa vigente pone a carico del produttore del rifiuto l’onere della sua corretta classificazione. Non mi sembra che vi siano dubbi in proposito.


Egli infatti è il soggetto che conosce il processo produttivo, le trasformazioni, le materie utilizzate dalle quali deriva il residuo da classificare, ragione per la quale l’art. 188 TUA attribuisce al produttore” la responsabilità per l’intera catena del trattamento”.

L’allegato D alla parte IV del T.U.A., nella formulazione precedente alla modifica del 2017, forniva una serie di indicazioni al produttore per una corretta classificazione del rifiuto, distinguendo a seconda che si trattasse di rifiuto pericoloso assoluto, non pericoloso assoluto o con codice a specchi.


Tralasciando il resto, nel caso di rifiuti con codice CER c.d. “a specchio la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 8 marzo 2019 ha confermato quello che la classificazione del rifiuto passa innanzitutto attraverso lo studio della scheda informativa del produttore, la conoscenza del processo chimico, il campionamento e l’analisi del rifiuto. Accertata l’eventuale presenza di inquinanti, è necessario determinare i pericoli connessi agli stessi e, quindi, per stabilirne la classe di pericolosità, occorre comparare le concentrazioni rilevate dall’analisi chimica con il limite soglia indicato dalla legge, oppure effettuare delle prove dirette.


Ma le analisi chimiche sono sempre obbligatorie, se non è possibile classificare i rifiuti a seguito di una valutazione tecnico-mercelogica? Ci sono dei casi nei quali l’obbligatorietà è stabilita dalla legge, ossia:


1) per il conferimento di rifiuti in discarica ex D.M. 27 settembre 2010;

2) per il conferimento ad attività di recupero in regime semplificato ex D.M. 5 febbraio 1998 e D.M. 12 giugno 2002;

3) nel caso in cui il provvedimento autorizzativo le imponga.


Per la determinazione di pericolosità di rifiuti con codice speculare l’allegato D alla parte IV del T.U.A. (testo antecedente alla riforma del 2017) prevedeva testualmente:


“4. Se un rifiuto è classificato con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso, per stabilire se il rifiuto è pericoloso o non pericoloso debbono essere determinate le proprietà di pericolo che esso possiede. Le indagini da svolgere per determinare le proprietà di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti:


a) individuare i composti presenti nel rifiuto attraverso:

· la scheda informativa del produttore; 

· la conoscenza del processo chimico; 

· il campionamento e l’analisi del rifiuto; 


b) determinare i pericoli connessi a tali composti attraverso:

· la normativa europea sulla etichettatura delle sostanze e dei preparati pericolosi; 

· le fonti informative europee ed internazionali; 

· la scheda di sicurezza dei prodotti da cui deriva il rifiuto; 


c) stabilire se le concentrazioni dei composti contenuti comportino che il rifiuto presenti delle caratteristiche di pericolo mediante comparazione delle concentrazioni rilevate all’analisi chimica con il limite soglia per le frasi di rischio specifiche dei componenti, ovvero effettuazione dei test per verificare se il rifiuto ha determinate proprietà di pericolo.

(…).”


Il cd. “Decreto Mezzogiorno” n. 91/2017 ha però riformato l’allegato D del TUA. I commi da 1 a 7 della premessa, che fornivano le indicazioni per la classificazione, sono stati sostituiti con una generica indicazione di rimando alla normativa europea. Come noto, questa modifica legislativa ha sollevato non poche incertezze circa l’ambito di operatività della disciplina comunitaria, tanto che la Corte di Cassazione italiana ha presentato un interpello alla Corte di Giustizia Europea per sapere come deve essere interpretata la nuova normativa.


La “Comunicazione della Commissione – Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti” (N. 2018/C 124/01 su Gazzetta Europea del 9 aprile 2018) detta le linee guida per la corretta classificazione dei rifiuti: l’allegato 4 di quel documento, rubricato “Campionamento e analisi chimica dei rifiuti”, precisa che: “In molti casi, saranno disponibili informazioni sufficienti sui rifiuti in questione tali da non rendere necessario svolgere un campionamento, analisi chimiche e test.”


Sembra quindi che, per la Commissione Europea, deve essere il produttore a valutare caso per caso se la “cd. analisi tecnica” sia sufficiente per la classificazione del rifiuto. Assumendosi, ovviamente, la responsabilità per decisioni negligenti.


La giurisprudenza italiana tende ad essere più rigida, perché ritiene obbligatorio il ricorso alle analisi chimiche per i rifiuti con codici speculari. Ciò si spiega, a mio parere, con il fatto che i giudici italiani si erano arroccati sulla c.d. teoria della “certezza” in materia di classificazione dei rifiuti con codici speculari, secondo la quale il detentore dovrebbe accertare l’assenza di tutti i possibili inquinanti nel residuo.


Sappiamo che la Corte di Giustizia Europea non condivide questo punto di vista, ragion per cui si spiega la scelta di non considerare obbligatorio il ricorso alle analisi chimiche in tutti i casi. E, infatti, la decisione del 28 marzo scorso chiarisce (punto 43 e 54) che il detentore dei rifiuti può (e non, “deve”) ricorrere (tra le altre) al campionamento e all’analisi chimica. Il ragionamento di fondo è che, d’altronde, se il produttore deve preliminarmente effettuare una valutazione circa le probabilità di presenza di contaminanti nei residui, non si vede perché obbligarlo a fare analisi che potrebbero essere del tutto inutili.


Vi è però da dire che il punto non è stato affrontato in maniera diretta nella sentenza della Corte di Giustizia che, invero, sembrerebbe averlo presupposto.


Si profila all’orizzonte un potenziale nuovo contrasto tra la giurisprudenza italiana e quella europea? Difficile dirlo: ad ogni modo il consiglio è quello di procedere sempre con accortezza. Classificazione e caratterizzazione dei rifiuti sono due momenti particolarmente delicati nella gestione dei rifiuti, sicché la massima cautela è quanto mai opportuna e doverosa.

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