Con la sentenza n. 26286 del 17.10.2019, la III sezione civile della Corte di Cassazione torna sul tema degli interessi moratori nei rapporti bancari ed affronta due questioni giuridiche tanto interessanti quanto attuali: la prima, che ha diretti riflessi in ambito penalistico, relativa alla necessità o meno di cumulare interessi corrispettivi e interessi moratori ai fini della verifica del superamento del “tasso soglia” anti-usura; la seconda, invece, riguarda la validità della cd “clausola di salvaguardia”, sovente utilizzata nei contratti di finanziamento al fine di evitare lo sforamento del tasso di interesse oltre le soglie di legge.
Con riferimento alla prima questione la Cassazione chiarisce, innanzitutto, che i presupposti per la percezione degli interessi corrispettivi e di quelli moratori sono diversi ed antitetici, giacché i primi costituiscono la controprestazione del mutuante e i secondi hanno natura di clausola penale, in quanto costituiscono una determinazione convenzionale preventiva del danno da inadempimento.
Essi, pertanto, non si possono fra loro cumulare.
Tale assunto non viene confutato dalla circostanza, molto frequente, che il tasso degli interessi moratori sia determinato sommando al saggio degli interessi corrispettivi previsti dal rapporto un certo numero di punti percentuale. In tali ipotesi è al valore complessivo risultante da tale somma e non ai soli punti percentuali aggiuntivi che occorre aver riguardo al fine di individuare il tasso degli interessi moratori effettivamente applicati, ma non si tratta di un “cumulo” degli interessi quanto, invece, di una modalità di calcolo dell’interesse moratorio.
La Cassazione spiega che una volta costituito in mora, gli interessi che il cliente è tenuto a corrispondere hanno tutti natura moratoria, a prescindere dai criteri negoziali di determinazione del tasso convenzionale di mora. Ed è cosi sia nel caso in cui il rapporto sia stato definitivamente “chiuso” (come avviene nel caso di passaggio a sofferenza di un rapporto), sia quando il rapporto è ancora pendente (come si verifica nel caso dell’ “incaglio”).
In linea con la giurisprudenza ormai costante della Suprema Corte, la sentenza ribadisce che nei rapporti bancari anche gli interessi convenzionali di mora, al pari di quelli corrispettivi, sono soggetti all’applicazione della normativa antiusura, con la conseguenza che, laddove la loro misura oltrepassi il c.d. “tasso soglia” previsto dall’art. 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, si configura la cosiddetta usura “oggettiva”.
A questo fine non è di ostacolo la circostanza che le istruzioni della Banca d’Italia non prevedano l’inclusione degli interessi di mora nella rilevazione del T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio), che costituisce la base sulla quale determinare il “tasso soglia”. Infatti, poiché la Banca d’Italia provvede comunque alla rilevazione della media dei tassi convenzionali di mora (solitamente costituiti da alcuni punti percentuali da aggiungere al tasso corrispettivo), è possibile individuare il “tasso soglia di mora” del semestre di riferimento, applicando a tale valore la maggiorazione prevista dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996.
Tuttavia, scrive ancora la Cassazione, “dovendosi procedere ad una valutazione unitaria del saggio di interessi concretamente applicato – senza poter più distinguere, una volta che il cliente è stato costituito in mora, la “parte” corrispettiva da quella moratoria -, al fine di stabilire la misura oltre la quale si configura l’usura oggettiva, il “tasso soglia di mora” deve essere sommato al “tasso soglia” ordinario (analogamente a quanto previsto dalla sentenza delle Sezioni unite n. 16303 del 2018, in tema di commissione di massimo scoperto)”.
Con riferimento ai rimedi civilistici alla rilevazione di interessi moratori usurari, la Cassazione afferma che l’invalidità della pattuizione, comminata dall’art. 1815 c.c., comma 2, si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli interessi convenzionali di mora. Gli stessi, infatti, assolvono alla funzione di una clausola penale (art. 1382 c.c.), in quanto consistono nella liquidazione preventiva e forfettaria del danno da ritardato pagamento.
Infine, con riguardo alla seconda questione giuridica di cui in premessa, vale a dire quella relativa alla clausola di salvaguardia, i giudice di legittimità affermano il seguente principio di diritto:
“In tema di rapporti bancari, l’inserimento di una clausola “di salvaguardia”, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del c.d. “tasso soglia” antiusura previsto dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della banca, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla banca, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”.