La bancarotta preferenziale, prevista e punita dall’art. 216 co III L. fall., si discosta dagli altri reati fallimentari in ragione del bene giuridico protetto poiché, la stessa, non mira a presidiare la garanzia patrimoniale del debitore ma, diversamente, si pone a garanzia dell’eguale soddisfacimento dei creditori sui beni del fallito.
Il bene giuridico tutelato è, molto semplicemente, la par condicio creditorum, di tale che, il riferimento civilistico sarà il disposto di cui all’art. 2741 c.c., in tema di concorso di creditori e cause di prelazione.
Con riferimento al pagamento di un credito privilegiato, però, la situazione pare complicarsi in virtù del fatto che, seppure i creditori potrebbero patire gli effetti di un pagamento preferenziale, è altrettanto vero che, tali effetti, potrebbero essere concretamente patiti solo ed esclusivamente dai creditori di superiore o pari grado di privilegio.
Ebbene, è corretto ritenere che vi siano taluni pagamenti che possano restare estranei alla fattispecie di reato poiché non preferenziali, ovvero:
· qualora non vi sia insinuazione di alcun creditore o se vi sia totale soddisfacimento della massa passiva;
· se il pagamento è diretto verso creditore privilegiato, senza che si siano insinuati creditori con maggior privilegio;
· se il pagamento a favore del debitore – che sarà dichiarato fallito -proviene da un terzo;
In altri termini, focalizzandosi sul secondo punto della sopra riportata elencazione, al fine di ritenersi integrato il delitto di bancarotta preferenziale occorre che sotto il profilo oggettivo vi sia una effettiva violazione della par condicio creditorum nel corso della procedura fallimentare; è dunque necessario che, a fronte del pagamento preferenziale, altri creditori di grado prevalente o eguale siano rimasti insoddisfatti. Da ciò ne discende che non sarà sufficiente provare la esistenza di altri creditori, ma sarà necessario indagare il grado degli stessi.[1]
In base a quanto appena chiarito, il pagamento di un debito derivante da lavoro dipendente (rientrante nell’alveo dei privilegi generali ex art. 2751 bis c.c.) [2] potrebbe assumere i caratteri di illecita preferenzialità solo qualora sia accertato il pregiudizio patito da creditori aventi lo stesso grado.
Qualche dubbio, poi, potrebbe sorgere in merito alla definizione di pagamento, anche e soprattutto in considerazione dell’elemento soggettivo che deve accompagnare la condotta. La volontarietà del pagamento, accompagnato dalla intenzione -nella forma del dolo specifico- di creare un vantaggio al creditore soddisfatto con pari danno degli altri creditori, non potrebbe rinvenirsi nell’ipotesi in cui, il predetto pagamento, avvenisse a seguito di una azione giudiziaria volta al recupero del credito, integrando così un tipico caso di pagamento coattivo.
Qualora la precedente argomentazione non dovesse trovare spazio si potrebbe propendere, comunque, verso la applicazione della scriminante dell’adempimento di un dovere di cui all’art. 51 c.p.
Ipotesi diversa, invero, sarebbe quella dell’accordo fraudolento tra creditore e debitore inteso a fare sì che il primo ottenga un pagamento, con la certezza di non incappare in alcuna resistenza da parte dell’imprenditore debitore. Tale accordo risulterebbe un metodo alternativo e parimenti illecito di realizzare il fatto tipico di pagamento preferenziale in danno dei creditori.
Non rientrerebbe nell’ipotesi appena descritta, però, l’accordo transattivo idoneo ad evitare una condanna a pagare pronunciata dal Giudice civile in ambito di una causa di lavoro, giacché lo stesso sarebbe un mero tentativo di evitare l’aggravamento di una situazione già fortemente compromessa.
Qualora l’accordo transattivo dovesse essere ritenuto integrante una bancarotta preferenziale, si badi, potrebbe rinvenirsi una ipotesi di concorso punibile del creditore consapevole dello stato di dissesto del debitore, laddove egli fornisca un contributo causale determinante per la violazione della par condicio creditorum.[3] Parte della Giurisprudenza ha evidenziato come, a ben vedere, il disvalore penale del creditore concorrente sia proprio solamente delle condotte particolarmente insidiose, come, ad esempio, la minaccia di presentare una istanza di fallimento.
Ebbene, alla luce delle suesposte argomentazioni può osservarsi come, i risvolti della bancarotta preferenziale di cui al co III dell’art. 216 L. fall. siano spesso suscettibili di molteplici interpretazioni.
[1] Cass. Pen., Sez. V, n. 3797 del 2018
[2] Crediti per retribuzioni dovute sotto qualsiasi forma ai prestatori di lavoro subordinato.
[3] Cass. Pen. Sez. V, 40998/2014; Cass. pen. Sez V, 39417/2008