Nella vicenda oggetto della decisione in commento gli imputati, condannati in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, hanno eccepito l’inutilizzabilità dei p.v.c. redatti dall’Agenzia delle Entrate. La critica riguardava il fatto che i funzionari dell’Agenzia, anche se nell’ambito dell’accertamento si erano sin da subito manifestate ipotesi di reato, non avrebbero segnalato la notitia criminis all’Autorità giudiziaria ed anzi avrebbero completato l’accertamento, inviando solo successivamente la notitia in Procura. In particolare, i ricorrenti hanno contestato il vizio di motivazione, eccependo l’illogicità e la contraddittorietà della sentenza di secondo grado che, da una parte, avrebbe riconosciuto l’applicabilità dell’art. 220 disp. att. c.p.p. relativamente ai verbali di constatazione dell’Amministrazione Finanziaria e, dall’altra, non avrebbe tenuto conto delle conseguenze risultanti dalla violazione di quella norma.
I giudici di legittimità hanno ritenuto inammissibili i ricorsi a causa della manifesta infondatezza dei motivi di censura.
Tuttavia, in ordine alla ritenuta violazione di legge di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p, la Suprema Corte ha precisato che il verbale di constatazione redatto dai funzionari dell’Amministrazione finanziaria deve essere qualificato come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e, in quanto tale, acquisibile ed utilizzabile ai fini probatori ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Si è anche osservato che non si tratta di un atto processuale, poiché non è previsto dal codice di rito o dalle norme di attuazione (art. 207); né può essere qualificato quale “particolare modalità di inoltro della notizia di reato” (art. 221 disp. att. c.p.p.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi.
Si è tuttavia precisato che, nel momento in cui emergono indizi di reato e non meri sospetti, occorre procedere secondo le modalità prescritte dall’art. 220 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che la parte di documento compilata prima dell’insorgere degli indizi ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non lo è quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito.
La disposizione in esame stabilisce che “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice“.
Presupposto dell’operatività della norma – che va letta in relazione anche all’art. 223 disp. att. c.p.p., relativo alle analisi di campioni da effettuare sempre nel corso di attività ispettive o di vigilanza ed alle garanzie dovute all’interessato – è la sussistenza della possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005 (dep. 2006), Cacace, Rv. 233330; Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291).
La cognizione circa la sussistenza di indizi di reità, ancorché non riferibili ad un soggetto specifico, deve risultare oggettivamente evidente a chi opera e non deve essere soltanto ipotizzata sulla base di mere congetture, né può ritenersi possibile, dopo che un reato è stato accertato, sostenere che chi effettuava il controllo avrebbe dovuto prefigurarsi quale ne sarebbe stato l’esito (Sez. 3, n. 16044 del 28/2/2019, Rossi, Rv. 275397 non massimata sul punto)
Ciò premesso, l’inosservanza del combinato disposto di cui agli artt. 220 e 223 disp. att. c.p.p. non determina automaticamente l’inutilizzabilità dei risultati probatori ottenuti nell’ambito delle attività di indagine amministrativa. Tale epilogo deve essere esplicitamente previsto dalle norme del codice di rito a cui rinvia l’art. 220 disp. att. c.p.p. Ne deriva che occorre da parte dell’interessato l’indicazione delle specifiche violazioni codicistiche che avrebbero determinato l’inutilizzabilità degli atti compiuti e riportati nel p.v.c., non essendo sufficiente la generica deduzione della violazione dell’art. 220 disp. att. c.p.p. (Cass. pen. sez. III, 26-10-2016, n. 6594; Cass. pen. sez. III, 24-05-2016, n. 5235). Diversamente, si finirebbe per vanificare irragionevolmente tutta l’attività svolta dagli organi accertatori.
In definitiva, è onere di chi eccepisce la trasgressione di quest’ultima disposizione precisare quali parti del p.v.c. siano state redatte dopo gli indizi di reato e in contrasto alle previsioni codicistiche. Nel caso di specie, i ricorrenti si sono invece limitati a formulare generiche doglianze, non avendo neppure indicato la rilevanza, ai fini della decisione, dei verbali di constatazione nella parte ritenuta non utilizzabile né, tanto meno, quali parti della sentenza appellata avrebbero dovuto ritenersi inficiate dalla dedotta inutilizzabilità.
Per tali ragioni, la Cassazione ha ritenuto immune da censure la sentenza gravata.