LA DELEGA DI FUNZIONI IN MATERIA AMBIENTALE

La sentenza della Cassazione Penale, Sez. 3, 27 maggio 2020, n. 15941 ripercorre con estrema chiarezza il tema, di estrema attualità tenuto conto dei numerosi adempimenti e delle responsabilità conseguenti alla gestione dei rifiuti, della delega di funzioni in materia ambientale.

Va subito detto che nonostante la normativa in tema di gestione dei rifiuti e di obblighi che gravano sui soggetti produttori e smaltitori non codifichi espressamente l’istituto della delega di funzioni, la Cassazione, analogamente a quanto previsto in materia di igiene e prevenzione degli infortuni sul lavoro, ne ha da tempo riconosciuto l’efficacia.

Si è così affermato che, in materia ambientale, per attribuirsi rilevanza penale all’istituto della delega di funzioni, è necessaria la compresenza di precisi requisiti: a) la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; b) il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; c) il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; d) la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; e) l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo (Sez. 3, n. 6420 del 07/11/2007, dep. 2008, Girolimetto, Rv. 238980).

Questi principi, è evidente, sono analoghi a quelli delineati dal legislatore nell’art. 16 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, con riguardo alla delega di funzioni del datore di lavoro in ordine all’adozione delle misure di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.


Analogo è anche il dovere di vigilanza che permane in capo al delegante «in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite» (art. 16, comma 3, d.lgs. n. 81 del 2008).

La posizione di garanzia rispetto alla protezione di determinati beni (come l’ambiente, la salute, etc) nello svolgimento delle attività economiche, la natura contravvenzionale ed il conseguente titolo d’imputazione anche soltanto colposo dei reati posti a presidio di tali beni non consentono di ritenere l’imprenditore esente da responsabilità limitandosi a delegare ad altri l’adempimento degli specifici obblighi di legge, senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite. Di qui la permanenza della responsabilità penale del delegante che, in caso di commissione di reati colposi da parte del delegato, non abbia ottemperato all’obbligo di vigilanza e controllo (per l’affermazione di tali principi in materia di infortuni sul lavoro, v. Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335; Sez. 4, n. 39158 del 18/01/2013, Zugno e aa., Rv. 256878).


Quanto alla natura ed ai contenuti dell’obbligo di vigilanza del delegante, non v’è dubbio che gli stessi siano distinti da quelli che incombono sul delegato. Rispetto a quest’ultimo, cui vengono affidate le competenze afferenti alla gestione del rischio che di volta in volta viene in rilievo, al delegante non è richiesta una vigilanza puntuale sulle modalità di svolgimento delle funzioni trasferite, ma una verifica sulla complessiva gestione del rischio da parte del delegato (così, sempre in materia di responsabilità del datore di lavoro in caso di infortuni, Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Visconti, Rv. 267319; Sez. 4, n. 10702 del 01/02/2012, Mangone, Rv. 252675).

Di conseguenza, nel caso il delegante abbia contezza – o possa averla – dell’inadeguato esercizio della delega e non intervenga (richiamando il delegato all’osservanza delle regole, verificando poi che questo avvenga, revocando la delega nei casi più gravi o di continuato inadempimento delle funzioni) lo stesso risponde dei reati commessi dal delegato ai sensi dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., perché non ha impedito un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire.


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