Bancarotta documentale e reati fiscali. Divieto di doppio giudizio?

La vicenda decisa dai Giudici della Quinta Sezione penale della Suprema Corte con sentenza del 24 luglio 2020 n. 22486 , vede coinvolti due amministratori di una società fallita – già condannati in precedente e separato giudizio per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari di cui agli artt. 2 – 5 – 8 – 10 D.Lgs. n. 74/2000 – ora imputati per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Il difensore, eccependo l’identità sostanziale tra fatti contestati in imputazione e quelli oggetto della precedente condanna, lamentava la violazione dall’art. 649 c.p.p. in tema di divieto di bis in idem.

I Giudici, aderendo all’orientamento giurisprudenziale che impone di accertare l’eventuale identità del fatto indagando la condotta l’evento ed il nesso causale, escludono da subito – relativamente alla bancarotta patrimoniale – la sussistenza di un rischio di doppia condanna.

Con riferimento al reato associativo si osserva come: “trattasi, all’evidenza, di condotta che non presenta punti di contatto con la bancarotta fraudolenta patrimoniale, giacchè – stando al primo dei reati per cui è intervenuta, nel diverso, procedimento, condanna definitiva – la societas sceleris è integrata da un elemento materiale (l’organizzazione di mezzi) e da un elemento soggettivo (l’affectio societatis) che si distinguono totalmente dagli elementi della bancarotta patrimoniale, consistente nella destinazione dei mezzi dell’impresa a fini a questa estranei”.

In relazione ai singoli reati tributari di cui agli artt. 2 – 5 – 8 -10 del D.Lgs n. 74/2000 nulla cambia, poiché, tali condotte:” [non] hanno elementi in comune con la distrazione delle risorse societarie, trattandosi di condotte materialmente diverse (sorrette, peraltro, da un diverso fine illecito: l’evasione del fisco, a vantaggio delle società amministrate, nei reati tributari; il depauperamento della garanzia dei creditori, nella bancarotta patrimoniale)”.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, deve escludersi qualsiasi rischio di doppia condanna con riguardo alla contestazione della bancarotta patrimoniale.

Le precedenti argomentazioni non possono però trovare la medesima applicazione per la bancarotta documentale.

La condotta materiale sanzionata dall’art. 216 L.F., che prevede l’occultamento o la distruzione delle scritture contabili, può entrare in conflitto con il reato di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 74/2000 anch’esso chiamato a punire “l’occultamento o la distruzione di documenti contabili”.

Appare evidente che, qualora si accerti che la documentazione occultata o distrutta sia la medesima per entrambe le contestazioni, il rischio di violazione del divieto di ne bis in idem diverrebbe ipotesi tutt’altro che remota.

Sul punto, la Suprema Corte fornisce una interpretazione innovativa.

Ritengono i Giudici di dover operare una distinzione: se da un lato appare ammissibile l’ipotesi di doppia contestazione – tributaria e fallimentare – nel corso del medesimo processo, dall’altro, la celebrazione di due processi distinti con i quali vengono accertate le due condotte di omissione o distruzione di documenti contabili – l’una tributaria e l’altra fallimentare – si porrebbe in violazione del divieto di bis in idem.

Ed infatti: “laddove l’occultamento o la distruzione riguardino le medesime scritture contabili o i medesimi documenti, nulla osta alla contestazione, nel simultaneus processus, di entrambi i reati, che offendono beni giuridici diversi e sono animati da un diverso fine, trattandosi di reati che, esaminati sotto il profilo della fattispecie astratta, non sono in rapporto di semplice specialità, ma di specialità reciproca […]. La bancarotta documentale e il reato di cui all’art. 10 cit. concretano una ipotesi di concorso formale di reati e non pongono – allorchè siano trattati congiuntamente- problemi di precedente giudicato, né di preclusione processuale”.

Al contrario, invece, qualora un soggetto sia già stato giudicato per uno dei due reati in trattazione, aventi quale fondamento la medesima documentazione: “l’azione penale non [potrà] essere esercitata per l’altro reato e, allorché ciò avvenga, l’azione deve essere dichiarata improcedibile, ovvero, se vi è stata condanna, la seconda pronuncia deve essere annullata in sede esecutiva”.

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