L’articolo 216 comma 3 della Legge fallimentare punisce la bancarotta preferenziale, un’ipotesi meno grave di bancarotta fraudolenta. La fattispecie tutela il principio cardine delle procedure concorsuali, ossia quello della parità dei creditori – par condicio creditorum – che concorrono in modo paritario alla ripartizione dell’attivo, a parità di grado di privilegio, risultante dalla liquidazione dei beni del fallito.
La fattispecie punisce, dunque, l’imprenditore che prima o durante la procedura fallimentare onora un debito assunto con un creditore preferendolo rispetto agli altri, i quali, in forza di questo pagamento, si trovano svantaggiati.
Proprio in materia di bancarotta preferenziale, la quinta sezione penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 29874 depositata il 29 luglio 2021, si è occupata del caso di un liquidatore di una società, poi dichiarata fallita, condannato dai giudici di merito per aver eseguito pagamenti preferenziali a favore di due dipendenti per complessivi euro 2.936,72 con addebito sul conto intestato alla società fallita.
La Corte di Appello, sebbene i pagamenti oggetto di imputazione fossero stati disposti appena due giorni dopo il deposito della sentenza di fallimento da parte del Tribunale Civile, ha ravvisato nella condotta del liquidatore l’inequivoca intenzione di favorire un creditore a danno degli altri.
In altri termini, cioè, i Giudici hanno ritenuto sussistente il dolo specifico del delitto di bancarotta fraudolenta in quanto i pagamenti erano avvenuti dopo la dichiarazione di fallimento, quando questo non poteva ritenersi più evitabile.
Ricorrendo in Cassazione il difensore dell’imputato rappresentava come, in realtà, la sentenza di fallimento fosse stata deposita il venerdì e la disposizione di pagamento fosse avvenuta il lunedì successivo, così che poteva essere del tutto verosimile che essa non fosse conosciuta dal liquidatore. Non essendovi certezza in ordine alla conoscenza dell’intervenuta dichiarazione di fallimento, non poteva essere ravvisata una consapevolezza del pregiudizio arrecato agli altri creditori.
Il pagamento, sosteneva il difensore, rappresentava un disperato tentativo di salvaguardare l’attività imprenditoriale, con l’intento proprio di evitare il fallimento.
La Corte di Cassazione ha preliminarmente inteso richiamare i principi consolidati in materia di bancarotta preferenziale, chiarendo come l’elemento soggettivo richiesto dalla fattispecie sia rappresentato dal dolo specifico di preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante pregiudizio, questa volta configurabile anche nella forma del dolo eventuale, degli altri.
Il dolo specifico deve necessariamente essere escluso, continua la Corte, laddove l’imprenditore soddisfi taluni debiti al solo fine di evitare il pericolo della presentazione di istanze di fallimento o, comunque, nella certezza e nella convinzione di poter riuscire a far fronte, anche in seguito, a tutte le posizioni debitorie aperte; in tale caso, infatti, è del tutto assente la c.d. intenzione di favorire.
Sulla scorta di tali considerazioni i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto di dover annullare la sentenza della Corte di Appello che, incappando in una motivazione apparente, ha omesso di motivare in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
La Corte di Appello avrebbe dovuto chiarire “se gli elementi addotti dal ricorrente consentissero di escludere che al momento dei pagamenti egli [l’imputato] conoscesse l’avvenuta dichiarazione di fallimento e, in caso positivo, se i pagamenti fossero avvenuti allo scopo di favorire coloro che li hanno percepiti o fossero invece diretti a consentire, attraverso l’attività lavorativa di coloro che hanno percepito le retribuzioni, la prosecuzione dell’attività liquidatoria occorrente al reperimento della liquidità necessaria al pagamento degli altri creditori o comunque fossero stati eseguiti dall’imputato nella ragionevole convinzione di poter evitare il fallimento, sulla base delle condizioni in cui versava la società.”