L’abuso delle informazioni privilegiate da parte del loro ideatore è comunque illecito.

La complessa ed articolata sentenza della Corte di cassazione, sezione V penale del 15/4/2021 (dep. 11/8/21) n. 37697 ha affrontato molteplici questioni di diritto, sia di natura sostanziale che processuale, in materia di abuso di informazioni privilegiate, il grave delitto previsto dall’articolo 184 del D.Lgs 58 del 24 febbraio 1998.

Uno degli argomenti di particolare interesse concerne la qualifica soggettiva del soggetto che ha abusato delle informazioni e, in particolare, se il reato possa essere commesso anche da colui che ha generato, ideato le informazioni previlegiate.

La fattispecie di reato punisce, (oltre ad altre condotte qui non rilevanti), chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime.

Nel caso in esame gli imputati, dopo aver predisposto un progetto di OPA concernente una spa, ma prima di approvare e rendere pubblico il progetto medesimo, avevano proceduto, per il tramite di altra società del gruppo, al “rastrellamento” delle azioni della spa, generando così un profitto di alcune centinaia di migliaia di euro.

Tra le diverse lamentazioni dei ricorrenti, vi era qualche quella relativa all’errata applicazione della legge penale perché, si è affermato negli atti d’impugnazione, il delitto può essere commesso soltanto da quei soggetti che, per la loro carica interna alla società (insiders) vengono a conoscenza delle informazioni privilegiate, ma non da parte di quei soggetti che, invece creano le informazioni medesime.

Lo spunto difensivo, senza dubbio interessante, è stato respinto dagli Ermellini con un’approfondita motivazione che, partendo dalle regole generali dell’ermeneutica (non solo giuridica), è giunta alla conclusione che non vi sono ragioni per affermare che nella categoria dei soggetti autori del reato possono essere ricompresi soltanto coloro che “parassitariamente” sfruttano le informazioni privilegiate.

Rapidamente vediamo come si è giunti a questa conclusione.

In primo luogo, ci si è soffermati sulla ratio della legge.

Lo scopo della norma incriminatrice è quello di tutelare l’integrità dei mercati finanziari comunitari e di accrescere la fiducia degli investitori, assicurando che questi ultimi siano posti in una posizione di parità e tutelati contro l’utilizzazione illecita delle informazioni privilegiate e la manipolazione di prezzi di mercato.

Nel caso in esame, ciò che ha consentito l’illecito arricchimento a discapito degli interessi degli investitori non è stata la “creazione” dell’informazione, quanto, piuttosto, un’iniziativa non ancora nota al mercato (OPA) che è in grado di incidere sulle condizioni del mercato.

L’informazione, insomma, era quella relativa alla futura OPA, ma l’atto di sfruttamento è consistito nel rastrellamento sistematico delle azioni della società.

La Corte ha ancora evidenziato che proprio la conoscenza di questa informazione e la sua utilizzazione hanno contribuito a migliorare le condizioni attuative del fatto gestionale (l’acquisto delle azioni della spa) in palese condizione di vantaggio rispetto agli altri operatori di mercato.

Anche il ricorso all’interpretazione analogica ha consentito agli Ermellini di corroborare la propria tesi.

Si è dunque ricorsi alla comparazione con altre fattispecie quali, ad esempio, l’indebita percezione di erogazioni pubbliche commessa mediante occultamento di un’informazione generata dal reo medesimo. E, ancora, si è affermato che il termine “informazione” deve essere inteso come “dato di conoscenza”, a prescindere dal fatto che sia stato generato dall’autore dl reato, è circostanza che si desume chiaramente dall’analisi delle fattispecie delittuose previste dagli articoli 371 bis e 375 del codice penale.

Infine, si è disattesa la prospettazione difensiva osservando che l’indicazione normativa dell’essere in possesso di informazioni in ragione di determinati ruoli, partecipazioni o attività, non orienta affatto l’interprete verso l’alterità tra la fonte produttiva del fatto conosciuto e soggetto titolare dell’informazione.

Bisogna insomma distinguere tra il caso in cui la condotta rappresenti la mera attuazione di decisioni economiche dell’operatore, dunque assolutamente lecita, da quelle azioni sfruttatrici della conoscenza privilegiata per operare nel mercato in condizioni di disparità con gli altri investitori.


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