Con la sentenza n. 11995 del 25 febbraio 2022, la Sezione Terza Penale della Corte di Cassazione ha ribadito che il contribuente, per poter usufruire della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 74/2000, deve procedere al pagamento delle imposte, potendole quantificare autonomamente, prima della formale conoscenza di qualsiasi controllo.
Nella vicenda in esame, i legali rappresentanti di due società sono stati condannati per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. n. 74/2000.
Nel ricorso per Cassazione proposto dal difensore per ciascuno degli imputati è stato lamentato il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 74/2000, avendo saldato il debito tributario in conseguenza di verifica fiscale.
Secondo la tesi difensiva, soltanto dopo aver ricevuto gli avvisi di accertamento gli imputati sono stati posti nella condizione di poter versare quanto dovuto nella misura quantificata dalla Agenzia delle Entrate. Per i ricorrenti, dunque, il pagamento effettuato sarebbe potuto avvenire soltanto all’esito dei controlli tributari, poiché solo attraverso questi vi sarebbe stata l’esatta quantificazione degli importi dovuti, comprensivi di sanzioni e di interessi.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto infondati i ricorsi evidenziando come, in tema di frode fiscale, l’art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 74/2000 subordini l’applicabilità della causa di non punibilità al ravvedimento operoso; tale istituto giuridico, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, consente all’interessato di poter determinare autonomamente interessi e sanzioni, anche con l’ausilio di un consulente. Attraverso il ravvedimento operoso, il contribuente può spontaneamente porre rimedio alle irregolarità fiscali dichiarando redditi ulteriori rispetto a quelli già dichiarati, eseguendo pagamenti omessi o eseguiti in misura insufficiente o, ancora, assolvendo ad altri adempimenti che avrebbero dovuto essere effettuati in precedenza. In tal caso, ciò che rileva è il momento in cui viene eseguita la regolarizzazione, consentendo questa di determinare una riduzione della sanzione penale (art. 13 bis del D.lgs. n. 74/2000) od usufruire della causa di non punibilità in parola (art. 13, comma 2, del D.lgs. n. 74/2000).
La Corte di Cassazione ha quindi ribadito che la causa di esclusione della punibilità in questione opera solo nel caso in cui l’integrale pagamento degli importi dovuti (debiti tributari, sanzioni e interessi) avvenga “prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”. Solo a tali condizioni “la spontaneità della resipiscenza del contribuente, insieme con l’estinzione tempestiva dei debiti, fa venire meno il bisogno di pena, giustificando, senza necessità di ulteriori sanzioni amministrative, la rinuncia da parte dello Stato di applicazione della sanzione penale”.
Ne consegue che per poter accedere alla causa di esclusione della punibilità il contribuente deve autonomamente effettuare il calcolo delle imposte da pagare e regolarizzarle prima dell’avvio di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate, senza attendere la quantificazione di quest’ultima.