Sempre confiscabile la somma di denaro della società per reati tributari.

La Corte di Cassazione ha perentoriamente affermato che anche il denaro entrato in società dopo la commissione del delitto tributario commesso dal suo amministratore è sequestrabile e confiscabile.

Il nodo interpretativo da sciogliere, oggetto peraltro di ampio dibattito sia dottrinale che giurisprudenziale, è, appunto, quello di stabilire se sia consentito procedere al sequestro, finalizzato alla confisca, del denaro entrato nei conti correnti della società successivamente alla commissione del reato tributario che, solitamente, coincide con la scadenza del termine per il pagamento dell’imposta evasa.

La sentenza della Corte di cassazione penale, sez. III, 10 novembre 2022 n. 42616, ha approfondito la questione giungendo ad esprimere un rigoroso principio giurisprudenziale.

Il nostro ordinamento giuridico prevede la confisca diretta e quella “per equivalente”. La prima riguarda i beni che costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo del reato ma non può attingere cose che appartengano a persona estranea al reato. La confisca per equivalente, invece, opera su beni di valore corrispondente a quelli che sarebbero oggetto della misura diretta, ma soltanto su quelli dei quali il reo abbia la disponibilità.

Orbene, nel caso dei reati tributari si pongono alcuni problemi nel caso di confisca (e preventivamente, sequestro) del denaro presente nella cassa della società amministrata dal reo.

1) Il reo non ha la disponibilità del denaro che invece, appartiene a soggetto terzo (l’impresa, appunto), che, almeno prima facie, potrebbe essere estranea al reato. In tal caso non sarebbe consentita né la confisca diretta (perché il bene non appartiene al reo), né quella per equivalente (perché il reo non ne ha la disponibilità).

2) Tutto o parte del denaro può avere provenienza lecita e successiva alla commissione del reato. In tal caso il bene non sarebbe confiscabile perché non qualificabile come profitto, prodotto o prezzo del reato.

Per quanto riguarda il primo profilo, la giurisprudenza è ormai orientata nel senso di qualificare sempre e solo come “diretta” la confisca che abbia ad oggetto il denaro. Trattandosi di bene fungibile, si afferma, non è possibile distinguere tra il denaro proveniente da delitto e quello avente altra origine, perciò la confisca non può che avvenire in via diretta. In altre parole, il denaro non può mai essere un bene “equivalente” ad altro denaro.

Questa lettura della norma consente di superare l’ostacolo alla confisca per equivalente costituito dall’indisponibilità in capo a reo. Restano però da sciogliere altri due nodi interpretativi della confisca diretta.

In primo luogo, la confisca diretta non è possibile se il bene appartiene a persona estranea al reato. La Corte, aderendo ad un orientamento ormai in via di consolidamento, intende in maniera estremamente restrittiva il concetto di “estraneità” al reato. Chi, pur non avendo partecipato alla commissione dell’illecito penale, ne ha ricavato un vantaggio, anche indiretto, non può essere considerato “estraneo” al medesimo.

E, spiegano ancora gli Ermellini, siccome nel concetto di “profitto” rientra anche quello di risparmio di spesa, nel caso in esame l’impresa non poteva essere considerata un soggetto estraneo al reato, avendone ricavato un vantaggio, ossia il risparmio per il mancato pagamento del debito tributario.

Il denaro della società, perciò, può esser oggetto di confisca diretta.

Sciolto il primo nodo interpretativo, resta ancora il problema della confiscabilità dei beni acquisiti successivamente alla commissione del reato che, in forza di alcune pronunce precedenti, parrebbero esclusi dalla possibilità di apprensione da parte dello Stato.

La Corte ha richiamato una precedente decisione delle Sezioni Unite (n. 42415 del 27/05/2021) che si era così pronunciata:

“(…) nei reati tributari, il profitto è essenzialmente costituito da un risparmio di spesa, e, quindi, si caratterizza non per un incremento del patrimonio, bensì per una mancata decurtazione dello stesso. Si è quindi concluso che, nel caso di risparmio di spesa, proprio perché la somma non può ritenersi «già entrata» nel patrimonio dell’autore a causa della commissione dell’illecito, il denaro acquisito successivamente a tale momento «rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente».

Le Sezioni Unite avevano dunque legittimato la confisca per equivalente del denaro che era nella disponibilità dell’imputato anche se proveniente da attività successive.

La sentenza in esame ha fatto un ulteriore passo e ha ritenuto che il precedente giurisprudenziale possa legittimare anche la confisca diretta delle somme acquisite successivamente al reato fiscale.

Siccome l’accrescimento del patrimonio a seguito del delitto tributario avviene attraverso un “risparmio di spesa”, dicono gli Ermellini, il profitto non potrebbe mai coincidere con qualche cosa che “entra” nel patrimonio. Il denaro, pertanto, costituisce “l’archetipo di bene corrispettivo di valore” e rileva quale somma non versata a causa della commissione del reato.

Inoltre, aggiungono ancora i giudici della Corte Suprema, dal disposto dell’articolo 12 bis del D.Lvo 74/2000 si ricaverebbe il principio per il quale la confisca del profitto del reato tributario sarebbe sempre qualificabile come “diretta” perché, come abbiamo visto, la conseguenza dell’illecito non può che essere un risparmio di spesa e mai un effettivo accrescimento del patrimonio.

Sinteticamente, dunque, i passaggi logici (non sempre del tutto chiari, ad onor del vero) della motivazione, possono essere così riassunti:

– Nei reati tributari il profitto consiste sempre in un risparmio di spesa ed è, di regola, suscettibile di confisca diretta (essendo rimessa la confisca per equivalente solo su beni aventi natura differente).

– L’impresa debitrice verso l’Erario non può considerarsi mai “persona estranea al reato” perché ha ricavato un vantaggio economico.

– Il denaro, anche se confluito nella cassa dell’impresa in un momento successivo alla commissione del reato, rileva comunque quale somma non versata a causa della commissione del reato.

– Esso è pertanto confiscabile (e, quindi, prima sequestrabile) in via diretta e non per equivalente.

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