Con la sentenza 381 del 10 gennaio 2023 della Terza Sezione Penale, la Corte di Cassazione ha enunciato il principio per il quale la speciale causa di non punibilità prevista dall’articolo 4 comma 1 bis D.lgs 74/2000 non trova applicazione nel caso in cui sia presentata una dichiarazione infedele senza indicazioni di elementi passivi o negativi risultanti però nella che comunicazione annuale ai fini IVA, prevista dall’abrogato art. 8-bis d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, non essendo la stessa assimilabile alla “documentazione rilevante ai fini fiscali” di cui al predetto art. 4, comma 1-bis cit.
Nel caso in esame l’imputato aveva presentato una dichiarazione dei redditi priva di dati numerici (“a zero”, come si usa definire comunemente), senza cioè indicare alcun valore attivo o passivo. L’intento, ovvio, era quello di non commettere il reato di omessa dichiarazione.
Il contribuente aveva però presentato in precedenza una comunicazione fiscale annuale dell’IVA (oggi non più dovuta) nella quale aveva indicato sia le operazioni attive che quelle passive. A seguito di una verifica della Guardia di Finanza era quindi emerso che le operazioni attive indicate nella suddetta comunicazione non erano state tutte regolarmente fatturate; da qui il procedimento penale per aver sottratto all’imposizione diretta ed indiretta somme superiori alle soglie di legge.
Soglie che sono state calcolate sul dato della dichiarazione che, come abbiamo visto, era pari a zero.
L’imputato aveva però contestato la quantificazione delle suddette soglie, affermando in sostanza che si sarebbe dovuto applicare il disposto dell’articolo 4, comma 1 bis D.Lgs 74/2000, norma che rende non punibile il fatto se conseguente alla “valutazione degli elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei principi di competenza, della non inerenza della non deducibilità di elementi passivi reali”.
La Corte ha chiarito che, in primo luogo, l’articolo 4 comma 1 bis D.Lgs 74/00 va inteso nel senso che i dati devono risultare dalla dichiarazione annuale e che il rinvio alla “altra documentazione fiscalmente rilevante” è riferito soltanto ai criteri di valutazione. Nel caso in esame la dichiarazione annuale era stata presentata “a zero”, sicché mancava il presupposto di partenza, vale a dire il dato oggetto di specifica valutazione.
Ma non è tutto. Premesso che la valutazione sul superamento delle soglie compete al giudice penale in autonomia, la Corte ha comunque chiarito che detto giudizio deve comunque essere ancorato alla disciplina di settore.
La causa di non punibilità presuppone l’esistenza oggettiva degli elementi attivi o passivi dei quali sia stata effettuata la non corretta classificazione o valutazione. Nel caso in esame la Corte ha evidenziato che, per quanto atteneva ai costi, l’imputato non aveva presentato alcun dato fattuale a prova della loro esistenza. Trattandosi di una causa di non punibilità è infatti onere di chi la fa valere di fornire gli elementi di giudizio che ne confermano l’esistenza.
L’imputato ha sostenuto che tale elemento fattuale deve essere rinvenuto proprio nella comunicazione fiscale annuale dalla quale emergeva un credito d’imposta incompatibile con la quantificazione dell’evasione operata dai giudici di merito.
La Corte ha invece ritenuto diversamente, sostanzialmente osservando che quella dichiarazione era, come abbiamo visto, essa stessa inattendibile e che, inoltre, per la sua funzione diversa, rispetto a quelle delle dichiarazioni annuali, non può comunque essere presa in considerazione ai fini del calcolo delle soglie di rilevanza penale dei fatti evasivi.
Infine, è stato chiarito che la comunicazione annuale fiscale IVA è priva di quel contenuto valutativo che l’articolo 4 comma 1bis D.Lgs 74/00 che costituisce il fondamento della causa di non punibilità.
In sintesi, quindi, la speciale causa di non punibilità prevista dal più volte citato articolo 4 comma 1 bis prevede due fattispecie:
1) Non corretta classificazione degli elementi eseguita cioè in violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza”, “non inerenza” e “non deducibilità degli elementi passivi reali”.
2) Valutazione degli elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti. In tal caso i criteri valutativi devono risultare nel bilancio o nell’altra documentazione fiscalmente rilevante.
Nel caso in esame non ricorreva alcuna di queste fattispecie.
La sentenza in commento non sembra corretta nella parte in cui esclude la rilevanza fiscale della comunicazione annuale ai fini IVA; tanto più che la determinazione delle imposte evase è avvenuta proprio sul presupposto di quella comunicazione! Tuttavia, è certamente nel giusto allorché osserva che tale documento non ha alcuna finalità “valutativa” degli elementi contenuti in dichiarazione che, si ricorda, erano del tutto mancanti.
Infine, un’ultima considerazione sull’elemento soggettivo del reato. La Suprema Corte ha ribadito il (discutibile) principio per il quale il dolo specifico del reato di commettere il fatto “al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto” è integrato dalla mera conoscenza e volontà con riferimento alla indicazione dei costi fittizi o alla omessa indicazione dei ricavi. In particole si è affermato che, nel caso concreto, la presentazione di una dichiarazione dei redditi incredibilmente “a zero” seguito dalla totale omesso versamento, anche parziale, delle imposte, costituiscono elementi di giudizio a conforto dell’esistenza del dolo specifico.