Gli obblighi fiscali decorrono dal momento dell’accettazione dell’incarico di amministratore

Gli obblighi fiscali gravano sull’amministratore della società a partire dal momento dell’accettazione della nomina e non da quello dell’iscrizione nel Registro delle Imprese della carica. Così ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza della terza sezione penale n. 13319 del 7 marzo 2023 in un procedimento penale per il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’articolo 10 ter del D.lgs 74/2000.

La Corte ha richiamato il disposto degli articoli 2193 e 2384 del codice civile dai quali emerge che l’iscrizione nel Registro delle Imprese della carica del nuovo legale rappresentante svolge una mera funzione dichiarativa e inibisce l’opponibilità dei limiti dei poteri di rappresentanza ai terzi. Perciò il conferimento dell’incarico di amministratore di una società diventa effettivo nel momento dell’accettazione da parte dell’incaricato. E non è necessario che questa adesione sia espressa per iscritto oppure formalmente, potendo essa risultare da fatti concludenti.

Da quel momento scaturiscono anche gli obblighi fiscali e, quindi, anche quelli penalmente presidiati. A tali fini è quindi del tutto irrilevante il momento d’iscrizione nel registro delle imprese.

Se così non fosse, spiegano i giudici del Supremo Collegio, si potrebbe eludere il precetto penale semplicemente omettendo o, comunque, ritardando l’iscrizione dell’incarico nel registro delle imprese.

La sentenza ha nuovamente ribadito il concetto per il quale l’amministratore subentrato risponde del reato di omesso versamento dell’IVA anche con riferimento alle imposte risalenti al periodo precedente, quanto meno sotto il profilo del dolo eventuale. Egli, si afferma, con l’accettazione dell’incarico assume l’obbligo di verifica, anche solo formale, dell’esistenza di debiti fiscali. L’inadempimento di quest’obbligo significa accettazione del rischio di omettere il pagamento delle imposte, perciò, di commettere l’illecito penale.

Questo orientamento interpretativo, anche se ormai consolidato, è oggetto di osservazioni critiche da parte di molti commentatori poiché, di fatto, comporta il rischio di punire omissioni negligenti invece che quelle consapevoli. È infatti estremamente complesso accertare se l’omessa verifica circa l’esistenza di debiti fiscali da parte del nuovo legale rappresentante sia addebitabile a comportamenti negligenti piuttosto che consapevoli. Il pericolo, insomma, è quello di punire omissioni involontarie.

In conseguenza di quanto appena visto è perciò possibile procedere al sequestro dei beni dell’amministratore della società indagato per il delitto fiscale.

A tal proposito è interessante quanto affermato in sentenza circa il divieto di sequestro dei beni impignorabili ai sensi dell’articolo 545 c.p.c. (nel caso in esame si trattava dell’indennità di disoccupazione). La Corte, infatti, ha ricordato che vige una preclusione procedurale in forza della quale non possono essere sollevate questioni relative alla violazione del principio di proporzionalità tra il credito garantito e il patrimonio sequestrato per la prima volta in sede di ricorso per cassazione.

Quindi, sebbene dal punto di vista sostanziale sia corretto affermare l’operatività dei limiti alla pignorabilità dei beni anche al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, è però necessario porre la questione al giudice del merito, che durante le indagini è il giudice per le indagini preliminari ed eventualmente a quello dell’impugnazione.

Trattasi, insomma, di una questione di fatto sottratta al vaglio della Suprema Corte alla quale compete esclusivamente la verifica della corretta applicazione delle norme di diritto.

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