Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è responsabile per l’infortunio mortale.

La sentenza della Corte di Cassazione, Sez. 4, 25 settembre 2023, n. 38914 mette la parola fina ad una vicenda giudiziaria iniziata dopo la tragica morte di un giovane lavoratore nel 2011, schiacciato sotto un ammasso di grossi tubi di metallo che, con un muletto, stava posizionando su una scaffalatura. La grossa ‘balla’ di tubi, forse rimasta incastrata in qualche parte, venne giù da oltre due metri schiacciando il giovane, senza lasciargli scampo.

Confermata in appello, la vicenda è pervenuta avanti alla Corte di Cassazione che, con poche righe, ha definitivamente confermato la condanna dell’RLS.

La decisione è sicuramente innovativa: non sono mancati, in passato, casi nei quali il rappresentante sindacale dei lavoratori è stato condannato, ma più per il suo ruolo di capo cantiere, preposto o, comunque, di lavoratore, quanto per le omissioni ai doveri tipici dell’attività sindacale.

L’RLS non ha dei veri e proprio obblighi, nel senso che il D.lgs 81/08 non prevede sanzioni specifiche per l’inadempimento dei suoi doveri. Egli è piuttosto titolare di diverse “attribuzioni” perciò si afferma che egli non è titolare di una posizione di garanzia. Aspetto che, vedremo, assume un particolare rilievo nella vicenda in oggetto.

La Suprema Corte ha però analizzato la vicenda da un altro punto di vista.

Anche nel caso di reati colposi è possibile la cooperazione colposa, quest’ultima intesa come convergenza di negligenze o imprudenze che concorrono, appunto, a determinare l’evento. La somma dei comportamenti colposi di due o più soggetti che contribuiscono a cagionare un evento costituisce fonte di responsabilità di entrambi coloro che hanno agito.

Orbene, la sentenza ha ritenuto che, pur privo di un’autonoma posizione di garanzia, il RLS debba rispondere, in concorso con il datore di lavoro, per l’infortunio mortale.

È la stessa sentenza a precisare, con un passaggio argomentativo assolutamente chiaro, che:

Come è noto, l’art. 50 D.Lgs. n. 81 del 2008, che ne disciplina le funzioni e i compiti, attribuisce al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro, costituendo una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Ciò detto, è bene precisare che, nel caso di specie, viene in rilievo non se l’imputato, in tale sua veste, ricoprisse o meno una posizione di garanzia intesa come titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzati ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. c.p.) – ma se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p. E, sotto questo profilo, la sentenza impugnata ha illustrato adeguatamente i termini in cui si è realizzata la cooperazione colposa dello B.B. nel delitto di cui trattasi. Richiamati i compiti attribuiti dall’art. 50 al Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza, ha osservato come l’imputato non abbia in alcun modo ottemperato ai compiti che gli erano stati attribuiti per legge, consentendo che il C.C. fosse adibito a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali, senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione e non sollecitando in alcun modo l’adozione da parte del responsabile dell’azienda di modelli organizzativi in grado di preservare la sicurezza dei lavoratori, nonostante le sollecitazioni in tal senso formulate dal D.D..

La sentenza ha quindi sottolineato che la responsabilità del RLS non deriva da una una pregressa posizione di garanzia, bensì dalla cooperazione colposa con la condotta, anch’essa colposa, del datore di lavoro. Egli ha fornito un contributo causale alla determinazione dell’evento attraverso il proprio comportamento negligente.

La Corte di Cassazione ha fatto richiamo alle motivazioni del giudice di merito, che non conosciamo, quanto alla ricostruzione del fatto. S’intende, dalle poche righe dedicate all’argomento, che l’imputato sia stato assolutamente inerte rispetto ai propri compiti, omettendo di attivarsi anche al cospetto di specifiche segnalazioni e, in tal modo, agevolando la condotta negligente dell’altro imputato (il datore di lavoro).

Questa decisione, se sarà confermata, è destinata ad ampliare significativamente il terreno di responsabilità dei soggetti interessati, a qualsiasi titolo, alla sicurezza sul luogo di lavoro.

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