Con la recente sentenza n. 47900 del 30 novembre 2023 la Corte di Cassazione, Sezione Quinta Penale, ha fatto il punto sullo status del revisore legale delineando anche i profili probatori per ritenere il concorso del professionista nel reato di bancarotta societaria.

Nel merito, due revisori legali di una società non quotata dichiarata fallita nel 2010 erano stati condannati, in concorso col Presidente del CdA, per il delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, legge fall. in relazione al reato di falso in bilancio (art. 2621 c.c.) per fatti commessi tra il 2005 e il 2009.

Secondo l’ipotesi accusatoria gli imputati avrebbero redatto relazioni sui bilanci esponendo fatti non corrispondenti al vero e alterando in modo sensibile la situazione economico patrimoniale-finanziaria della società senza adottare i provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c. o di cui all’art. 2447 c.c., ovvero la convocazione dell’assemblea in conseguenza della riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale.

Nel ricorso per cassazione i difensori hanno sostenuto che il falso nella relazione dovesse considerarsi una fattispecie di reato propria del revisore, autonoma e non concorrente con la bancarotta da falso in bilancio.

La Cassazione ha ritenuto fondati i ricorsi e ribadito come il delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 1, legge fall. sia un reato proprio – non esclusivo – di evento al quale può concorrere anche il revisore, ma solo “in veste di estraneo” e “secondo le norme generali sul concorso”, ovvero attraverso un consapevole contributo causale, morale o materiale.

La condotta di falso nelle relazioni o nelle comunicazioni dei revisori ha sempre natura commissiva, anche nel caso di occultamento di informazioni, atteso che “aver omesso di redigere una relazione veritiera significa aver redatto una relazione falsa”.

Tale fattispecie, tuttavia, “non ha attinenza né con l’art. 2621 c.c. né con la L. Fall., art. 223 comma 2, n. 1, e, per tale ragione, non può ex se rappresentare una modalità di concorso nei ridetti reati propri, pena la torsione dei principi di legalità e di tipicità”.

Nella motivazione si ribadisce, giustamente, che il revisore non è un organo della società e non ha i poteri tipici del collegio sindacale.

Ne deriva che il revisore potrà rispondere del reato di bancarotta societaria soltanto quale concorrente estraneo, non potendo essere estesa al professionista la disciplina relativa a soggetti che svolgono compiti di gestione, come gli amministratori, oppure compiti di controllo interno, come i sindaci.

Il concorso, in definitiva, sarà disciplinato e valutato alla stregua della disciplina generale di cui all’art. 110 c.p. e non potrà essere ritenuto un concorso nel ‘fatto di bancarotta’ la sottoscrizione di una relazione che possa contenere profili di falsità.

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