Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con le sentenze n. 34419 e n. 34452 depositate l’11 dicembre 2023, hanno affrontato la questione della qualificazione dei crediti di imposta indebitamente compensati, tracciando i confini delle nozioni di ‘inesistenza’ e di ‘non spettanza’.
Condividendo l’orientamento giurisprudenziale già emerso con le note sentenze gemelle della Sezione Tributaria della Cassazione, n. 34443, n. 34444 e n. 34445 del 16.11.2021, i giudici del Supremo Collegio hanno affermanto il principio di diritto secondo il quale, in tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, il credito utilizzato è da classificarsi come inesistente qualora ricorrano congiuntamente due specifici requisiti: “a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui all’art. 36 bis e 36 ter DPR n. 600 del 1973 e all’art. 54 bis DPR n. 633 del 1972”, specificando altresì che: “ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti.”
Il criterio di natura procedurale, che riguarda il metodo di accertamento dell’illecito e non la natura dello stesso, appare dunque assolutamente centrale poiché, ogniqualvolta l’inesistenza sia individuabile dall’organo accertatore tramite i cc.dd. controlli automatizzati, il credito dovrà essere necessariamente ricondotto nell’alveo dei non spettanti, sebbene materialmente inesistente.
La pronuncia a Sezioni Unite appena richiamata mette fine ad una querelle giurisprudenziale che ha visto alternarsi, nel corso degli ultimi anni, decisioni difformi e contrastanti.
Se da un punto di vista tributario la natura dei crediti assume una particolare rilevanza, posto che dalla diversa qualificazione deriva un trattamento sanzionatorio sensibilmente differente ed un termine per l’accertamento più lungo nei casi di inesistenza del credito, non possiamo ignorare che anche in sede penale la classificazione dei crediti determina conseguenze giuridiche tutt’altro che trascurabili.
Come noto, l’art. 10 quater del D.Lgs. n. 74/2000 separa in maniera netta le due condotte tipiche del delitto di indebita compensazione prevedendo, al primo comma, la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni per le compensazioni effettuate tramite l’utilizzo di crediti non spettanti e, al comma successivo, una pena da 1 anno e 6 mesi a 6 anni per quelle operate ricorrendo a crediti inesistenti.
E’ dunque determinante capire se le regole di giudizio operanti in sede tributaria debbano trovare spazio anche in sede penale.
Sulla scorta della giurisprudenza civile inaugurata con le tre pronunce gemelle del 2021 – oggi di fatto confermata dalle Sezioni Unite – all’interno della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione si è immediatamente assistito ad una spaccatura che ha prodotto sentenze in netto contrasto tra loro.
La pronuncia n. 7615 del 3 marzo 2022 (che le Sezioni Unite Civili hanno inteso valorizzare) aveva chiarito che:” la definizione di credito inesistente deve essere tratta, anche ai fini penali, dall’art. 13 co. 5 del D.Lgs. n. 471 del 1997, come novellato nel 2015, sicché devono ricorrere i requisiti ivi previsti per considerare il credito inesistente ossia: a) deve mancare il presupposto costitutivo; b) l’inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria, se manca uno di tali requisiti il credito deve ritenersi non spettante.”
Si tratterebbe, in buona sostanza, di applicare in sede penale il medesimo criterio di classificazione dei crediti utilizzato in ambito tributario.
Al contrario, con la sentenza n. 16353 del 18.04.2023, la medesima Sezione della Corte di Cassazione penale aveva aderito all’orientamento opposto affermando che: “in tema di reati tributari, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000, per credito “non spettante” si intende quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nell’ammontare, sia, per qualsiasi ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) in operazioni finanziarie di compensazione nei rapporti fra il contribuente e l’Erario, mentre la definizione di credito inesistente non va ricavata dall’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997, che rileva a soli fini tributari.”
Secondo quest’ultimo orientamento, l’art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997 risulterebbe applicabile alla sola materia degli illeciti di natura amministrativa e non troverebbe applicazione in sede penale.
Le Sezioni Unite, nelle sentenze in commento, aderiscono espressamente alla prima linea interpretativa che tende ad uniformare il giudizio civile e penale, rilevando come le nozioni di credito inesistente e non spettante debbano avere valenza unitaria e trasversale.
Una simile interpretazione, scrive la Corte, discende “dal dato letterale delle norme [e] risponde a criteri di coerenza e di razionalità di sistema e alle finalità, obbiettive, perseguite dal legislatore”.
L’arresto della Cassazione Civile in commento, che dunque contiene evidenti riflessi di natura penale, esclude l’esistenza di un doppio metro di giudizio e parrebbe vincolare anche il Giudice penale al principio di diritto pronunciato.
L’intento delle Sezioni Unite civili è quello di scongiurare l’evenienza, nemmeno troppo remota, di celebrare un processo penale per compensazione indebita ex art. 10 quater co. 2 D.Lgs. n. 74/2000 (crediti inesistenti) a fronte di un procedimento tributario che ha riconosciuto, e sanzionato, una meno grave compensazione di crediti di imposta non spettanti.
A questo punto, si tratterà di capire se i Giudici penali si atterranno alle indicazioni fornite dalle Sezioni Unite civili o se, in presenza di ulteriori sentenze disallineate, sarà necessario un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite penali.