La Corte di Cassazione, con la sentenza dell’8 luglio 2019 n. 29538, è tornata a pronunciarsi sui criteri di imputazione dell’ente ai sensi del d.lgs. 231/2001 in relazione ai reati colposi d’evento derivanti dalla violazione della normativa antinfortunistica.
Questo il caso oggetto della vicenda processuale: il 4 giugno 2014 il lavoratore R.M., operaio esperto addetto al reparto verniciatura con qualifica di capo turno, dopo aver rimosso le protezioni e senza fermare l’impianto di verniciatura di recente istallazione, accedeva all’interno della zona pericolosa adiacente per verificare se i rulli della zona denominata “briglia 4” fossero la causa di un difetto rilevato sul nastro. Nel compiere tale operazione l’operaio rimaneva incastrato con il braccio sinistro tra il rullo di trascinamento e quello preminastro, con conseguente distacco dell’arto. L’R.M. decedeva a causa delle lesioni riportate.
In esito al giudizio di secondo grado sono stati condannati per il reato di omicidio colposo il datore di lavoro, il direttore dello stabilimento e il capo reparto/preposto; la Società è stata ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, 6, 7 e 21 septies comma 2 d.lgs. 231/2001.
Con riferimento alla responsabilità dell’ente, i giudici d’appello hanno ritenuto che il Modello Organizzativo,seppur adottatoe conforme alle norme BS OHSAS 18001:2007, non fosse stato efficacemente attuato.
La Società, infatti, pur avendo effettuato una valutazione dei rischi con riferimento al settore verniciatura e, segnatamente, all’attività dei capi turno, aveva predisposto una procedura operativa incompletache non riportava le modalità di ricerca e soluzione in sicurezza dei difetti sul nastro.Era inoltre mancata un’attività di monitoraggiosulle misure di prevenzione già adottate e di adeguamento della procedura ai rischi effettivamente esistenti in quello specifico segmento di attività, “essendo pure emerso dalle relazioni semestrali che l’organismo di vigilanza non aveva posto in essere, a causa di ritardi aziendali, le attività propedeutiche a tali controlli”.
Quanto al vantaggio ottenuto dalla Società, esso è stato individuato nella possibilità di velocizzare le operazioni di manutenzione della linea, con risparmio di tempi di lavoro e minore scarto di materiale.
Contro la sentenza d’appello la società ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione, avendo i giudici di secondo grado omesso di indicare quale parte del Modello fosse rimasta inattuata.
Nello specifico, il giudice d’appello avrebbe fondato il giudizio di responsabilità dell’ente sulla base della sovrapposizione tra la violazione delle norme prevenzionali e l’insufficienza delle procedure adottate, senza condurre alcuna verifica sull’efficace attuazione del Modello. La difesa ha quindi contestato che la mera violazione di norme in materia di sicurezza sul lavoro non possa costituire di per sé prova della mancata attuazione del Modello.
Inoltre, circa la contestazione di omessa e/o insufficiente vigilanza, i giudici di secondo grado avrebbero trascurato il fatto che il competente organismonon ha il compito di vigilare sull’osservanza delle norme sulla sicurezza sul lavoro, bensì sulla efficace attuazione del modello.
La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il motivo, ha innanzitutto ripreso le considerazioni svolte dalla nota sentenza Thyssenkrupp sui criteri di imputazione dell’ente nel caso di reati colposi d’evento commessi in violazione di norme antinfortunistiche.
Quanto all’interesse e al vantaggiodi cui all’art. 5 d.lgs. 231/2001, ne è stata ribadita l’alternatività: “essi sono alternativi e concorrenti tra loro,in quanto il primo esprime una valutazione teleologicadel reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito”.
E’ stato inoltre sottolineato che la“colpa di organizzazione”, nel caso di responsabilità dell’ente in relazione alla tipologia di reati in commento, deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie per prevenire la commissione dei reati presupposto, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che ne individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli.
Quando al parametro rispetto al quale accertare l’eventuale interesse o vantaggio, esso è stato individuato nella sola condotta colposa e non l’eventoche ne è la conseguenza: “Per non svuotare di contenuto la previsione normativa che ha inserito nel novero di quelli che fondano una responsabilità dell’ente anche i reati colposi, posti in essere con violazione della normativa antinfortunistica (art. 25 d.lgs. 231/2001) è stato peraltro chiarito, in via interpretativa, che i criteri di imputazione oggettiva di cui trattasi vanno riferiti alla condottadel soggetto agente e non all’evento, in conformità alla diversa conformazione dell’illecito, essendo possibile che l’agente che violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l’evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell’ente. A maggior ragione vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l’ente”.
Fatte queste premesse, i giudici di legittimità hanno ritenuto immune da vizi l’operato della Corte d’appello.
Gli stessi, infatti, hanno escluso che la Corte territoriale avesse formulato le sue conclusioni sulla scorta di meccanismi presuntivi o che si fosse limitata ad un’inammissibile sovrapposizione tra la violazione delle norme prevenzionali e la insufficienza delle procedure adottate.
Come detto, i giudici hanno focalizzato la loro attenzione sull’inefficace attuazione del Modello adottato“sia con riferimento allamancata previsione di istruzioni operativeper l’attività di rilevamento dei difetti sopra descritti; che avuto riguardo all’attività di monitoraggio, anch’essa inadeguatarispetto ai rischi esistenti e alla realizzazione di un sistema di vigilanza – da parte del competente organismo – che riguardasse l’attuazione del modello organizzativoe non la concreta osservanza, nei luoghi di lavoro, delle norme in esso previste, come affermato dalla difesa”.
In definitiva, la responsabilità dell’Ente si è fondata sulla accertata mancanza di procedure operative specifiche per quel rischio che ha poi provocato l’incidente e, al contempo, sulla inadeguata sorveglianza ad opera dell’OdV che, pur senza condurre alla responsabilità dei suoi componenti, ne ha determinato la sua inefficace attuazione.