Con la sentenza depositata in data 18 settembre 2020 n. 19597 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate su uno dei temi più attuali e controversi in materia di contenzioso bancario, l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori.
La risposta, come noto, è stata positiva: secondo le Sezioni Unite la disciplina antiusura si applica anche agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.
La differente intensità del rischio creditorio sottesa alla determinazione degli interessi corrispettivi e degli interessi moratori non rileva. Se i primi si fondano sul presupposto della puntualità dei pagamenti dovuti, i secondi incorporano e valutano l’incertezza legata al “se” e al “quando” gli stessi verranno pagati, con la conseguenza che il creditore dovrà ricomprendervi il costo dell’attivazione degli strumenti di tutela del diritto insoddisfatto; in relazione a tale rischio, l’intermediario può determinare i tassi applicabili, ma anche tale costo deve soggiacere ai limiti antiusura.
La conclusione, in linea con una parte della giurisprudenza anche più recente (cfr. Cass. 17 ottobre 2019, n.26286; Cass. 13 settembre 2019, n. 22890; Cass. 30 ottobre 2018, n. 27442; Cass. 6 marzo2017, n. 5598; Cass. 4 aprile 2003, n. 5324), non sorprende, ma è interessante analizzare come è stato risolto il problema del confronto del tasso moratorio con una soglia usura che si calcola sulla base di un tasso effettivo globale medio (t.e.g.m.) che non contempla tale tipologia di tassi.
Si tratta del tema della simmetria ovvero della omogeneità dei dati che vengono posti a confronto.
Nelle voci computate dai decreti ministeriali al fine della rilevazione del tasso medio non sono infatti inclusi gli interessi di mora, pertanto, nel t.e.g. del singolo rapporto, secondo i sostenitori della tesi restrittiva, gli interessi moratori non devono essere conteggiati.
Tale conclusione sarebbe avvalorata dalle stesse considerazioni della Banca d’Italia (cfr. ‘Chiarimenti in materia di applicazione della legge usuraria’ del 3 luglio 2013), secondo la quale il mancato rilievo degli interessi moratori nel t.e.g.m. discende dall’esigenza di non considerare nella media «operazioni con andamento anomalo», le quali potrebbero addirittura, se incluse nel t.e.g., «determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela».
Le Sezioni Unite ritengono che il principio di simmetria, già accolto nella sentenza delle SS.UU. n 16303 del 2018, in quanto criterio di “affidabilità giuridica”, “scientifica e logica” debba essere rispettato e che a questo fine sia possibile utilizzare la rilevazione statistica degli interessi di mora compiuta dalla Banca d’Italia.
Il riferimento alla rilevazione statistica costituisce secondo i Supremi Giudici il parametro privilegiato di comparazione, “che permette di accedere a valutazioni (…) prive di discrezionalità, scongiurando difformità di applicazione”.
Di conseguenza:
“La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato“, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”»[1].
“Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista”.
Si consideri infatti che la rilevazione degli interessi moratori viene contemplata per la prima volta dal decreto ministeriale del 25 marzo 2003. Per i rapporti insorti prima di quella data sarà sufficiente comparare il t.e.g. del singolo rapporto, comprensivo degli interessi moratori in concreto applicati, con il t.e.g.m. rilevato dai decreti. Sarà il margine di tolleranza che in aggiunta al tasso medio individua la soglia usuraria ad offrire lo spazio di operatività dell’interesse moratorio lecitamente applicato.
In pratica, in assenza di rilevazioni statistiche, come era in passato, l’interesse moratorio, che va comunque computato, dovrà stare all’interno di una soglia usuraria che non lo contempla.
L’affermazione non è priva di conseguenze, tenuto altresì conto che le Sezioni Unite equiparano gli interessi moratori alla clausola penale che, come noto a coloro che della materia si occupano, è uno dei temi che maggiormente occupano oggi il contenzioso bancario, almeno penale.
La Corte, si legge nella sentenza, “ha inquadrato il patto sugli interessi moratori nella clausola penale ex art. 1382 c.c. (Cass. 17 ottobre 2019, n. 26286; Cass. 18 novembre 2010, n.23273; Cass. 21 giugno 2001, n. 8481; in sede penale, v. Cass. 25 ottobre 2012, n. 5683, depositata il 5 febbraio 2013). La circostanza che la misura degli interessi moratori sia prestabilita dalle parti nella relativa clausola negoziale, infatti, non ne muta la natura di liquidazione forfetaria e preventiva del danno, donde l’inquadrabilità nell’art. 1382 c.c., strutturandosi il patto sugli interessi moratori come un tipo di clausola penale”.
Ora, posto che la clausola penale non è contemplata nel t.e.g.m. e non vi sono rilevazioni statistiche che la riguardano, viene da chiedersi se della stessa debba tenersi conto ed eventualmente con quale soglia debba essere comparata.
Una nota infine sugli effetti, non penalistici, conseguenti all’applicazione di interessi moratori usurari.
Ove l’interesse corrispettivo sia lecito e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della soglia usuraria, saranno solo questi ultimi da considerarsi illeciti e preclusi; resta l’applicazione dell’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.
In questo modo si evitano effetti distorsivi, come quelli conseguenti all’azzeramento di ogni interesse nel caso di interessi moratori usurari; risultato che avrebbe l’effetto di premiare il debitore inadempiente rispetto a colui che adempia ai suoi obblighi con puntualità.
[1] Nei recenti decreti ministeriali si dà conto dell’ultima rilevazione statistica condotta dalla Banca d’Italia, da cui risulta che i tassi di mora pattuiti sul mercato presentano, rispetto ai tassi corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultraquinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti.