La pandemia ha modificato radicalmente i nostri costumi e il nostro stile di vita e molti lavoratori, per evitare il rischio dei contagi e nei casi in cui ciò è stato possibile, hanno accolto con favore l’opportunità di lavorare da casa.
Sul fronte delle imprese il contesto attuale ha rappresentato una occasione straordinaria per testare sul campo la capacità di operare utilizzando massivamente il lavoro agile. I risultati sono stati per lo più positivi ed è ragionevole pensare che lo smart working sarà utilizzato ancora in futuro ed anzi incrementato.
Il lavoro agile, come noto, è disciplinato da una manciata di articoli contenuti nella legge 81 del 2017 che, deve subito rilevarsi, demanda all’accordo tra le parti la previsione delle modalità concrete di esecuzione del lavoro agile (art. 18).
La legge si limita a poche indicazioni.
Il datore di lavoro deve garantire il buon funzionamento degli strumenti tecnologici messi a disposizione ed è tenuto a consegnare al lavoratore un’informativa scritta (annuale) nella quale sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del lavoro (art. 22 L. 81/2017). Il lavoratore, che assume la veste di soggetto a sua volta “debitore di sicurezza”, è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro.
Si tratta di una disciplina insufficiente e l’applicabilità, che può difficilmente essere posta in discussione, del TUSL del 2008 per tutto quanto non espressamente regolato dalla legge del 2017, lascia irrisolte alcune questioni.
In attesa dell’intervento del legislatore occorre dunque fare buon uso delle categorie giuridiche a disposizione, con la premessa che alcune di esse paiono poco compatibili con il lavoro agile.
Un esempio paradigmatico di quanto si va affermando è il luogo di lavoro.
Tutti siamo abituati a pensare che la caratteristica principale dello smart working sia quella di poter lavorare ovunque, a patto di avere una connessione decente o essere raggiungibili al cellulare.
Ma la responsabilità del datore di lavoro, che resta pur sempre il garante primario della sicurezza e della salute del lavoratore, deve potersi conciliare con tale possibilità di lavorare ovunque.
Se il datore di lavoro non sa dove lavora il dipendente, come fa a garantirne la sicurezza? Se il dipendente lavora al parco e viene colpito dal ramo di un albero, si tratta di un infortunio sul lavoro?
Le risposte non sono banali e le implicazioni nemmeno.
Consideriamo anche che nei prossimi anni una parte non trascurabile della popolazione lavorativa potrebbe essere collocata in modalità smart e col passare del tempo le esigenze, ed anche le problematiche, cambieranno.
Alcuni commentatori ritengono che il lavoratore non possa lavorare ovunque, ma solo in luoghi previamente comunicati al datore o comunque individuati in sede di accordo. Addirittura vi è chi ritiene che il datore di lavoro, che deve informare il lavoratore sui rischi del lavoro agile, debba avere la possibilità di conoscere il luogo effettivamente utilizzato per svolgere il lavoro. In poche parole, egli dovrebbe assicurarsi che il lavoratore disponga, a casa propria o dove pensa di svolgere la sua attività, di una scrivania adeguata e con certe dimensioni, di una certa illuminazione, di un ricircolo d’aria, etc, insomma di tutte quelle caratteristiche che contribuiscono a definire l’ergonomia e la salubrità del luogo di lavoro.
Comprendete bene che se la conoscenza richiesta al datore di lavoro fosse in questi termini, la soluzione sarebbe irrealistica. Lo sforzo economico legato alla necessità di intervenire laddove difettino le condizioni di sicurezza sarebbe eccessivo e non sarebbe sopportabile dalla stragrande maggioranza delle imprese. Inoltre, se si ammettesse che il datore di lavoro debba verificare caso per caso, anche la sua responsabilità si estenderebbe oltre il ragionevole.
Non si nega, come ritengono i più intransigenti, che il luogo di lavoro è il luogo dove il lavoratore presta la propria opera – quindi anche la casa, in teoria – e che per esso il datore è responsabile, ma tali categorie giuridiche, ineccepibili se riferite all’ambiente di lavoro – azienda, devono essere adattate alle nuove modalità di lavoro di cui stiamo discutendo.
Secondo l’INAIL, che all’indomani dell’entrata in vigore della legge 81/2017 ha emanato la circolare n. 48 per chiarire i presupposti assicurativi dello smart working, sarebbe auspicabile individuare i luoghi e i tempi di esecuzione dell’attività in sede di accordo tra le parti. Ciò eviterebbe complesse indagini per accertare se l’infortunio è avvenuto mentre il soggetto stava lavorando ovvero se si stava spostando (infortunio in itinere) per raggiungere una località identificata e previamente comunicata per svolgere lo smart working.
Si ritiene anche possibile lasciare al lavoratore la scelta del luogo senza preventiva indicazione, ma egli deve essere informato e formato adeguatamente, in modo da spiegargli compiutamente e fargli comprendere le caratteristiche e le modalità corrette del lavoro agile, escludendo luoghi del tutto inadatti come parchi o bar. Il datore di lavoro non indagherà sul luogo effettivamente scelto, ma deve poter sostenere e dimostrare di aver formato adeguatamente il lavoratore che, se opterà per una scelta non consentita, si assumerà i rischi conseguenti.
L’informativa, sia chiaro, è obbligatoria sempre, anche nel caso in cui i luoghi vengano previamente indicati, ma è chiaro che maggiore sarà la libertà concessa al lavoratore maggiore dovrà essere la responsabilità del datore affinché la scelta del lavoratore sia assunta consapevolmente.
Il rapporto datore di lavoro-lavoratore assume contorni inediti.
Si potrebbe anche pensare ad una forma di “restituzione” da parte del lavoratore che, una volta formato, autocertificherà al datore di avere la possibilità di lavorare in un ambiente che rispetta quelle caratteristiche che gli sono state spiegate nell’informativa. Tale soluzione, tuttavia, presenta non poche complicazioni. Basta immaginare cosa significa per grossi gruppi industriali processare una mole così rilevante di dati. E poi, nel caso in cui il lavoratore dichiarasse di non avere un luogo adatto oppure si rifiutasse di sottoscrivere il modulo, cosa succederebbe?
Ricollocare il lavoratore in sede e negargli l’opportunità di svolgere il lavoro agile non è un risultato auspicabile e avrebbe l’effetto di frustrare la ratio dell’istituto.
In definitiva, salvo immaginare un datore di lavoro che va a controllare l’impianto elettrico a casa dei lavoratori o se la casa è sufficientemente luminosa, ci sembra che in tema di ambiente di lavoro si possano individuare soluzioni di buon senso che, nel rispetto della legge, delimitano la responsabilità del datore di lavoro all’interno di un perimetro di condotte esigibili: individuare previamente i luoghi o lasciare la libertà ma spiegare che caratteristiche deve avere, negando la possibilità di lavorare in luoghi del tutto inadatti.
Ad ogni modo, i problemi arriveranno da un’altra parte.
L’attenzione va concentrata sulle modalità del lavoro più che sull’ambiente.
Con una Risoluzione del 21.1.2021 il Parlamento europeo ha presentato una serie di raccomandazioni alla Commissione in tema di diritto alla disconnessione che paiono molto utili e di cui riportiamo un brevissimo estratto:
“ un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha comportato la nascita di una cultura del “sempre connesso”, “sempre online” o “costantemente di guardia” che può andare a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque, tra cui una retribuzione equa, la limitazione dell’orario di lavoro e l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata, la salute fisica e mentale, la sicurezza sul lavoro e il benessere, nonché della parità tra uomini e donne […]”.
Considerato che l’uso eccessivo dei dispositivi tecnologici può aggravare fenomeni quali l’isolamento, la dipendenza dalle tecnologie, la privazione del sonno, l’esaurimento emotivo, l’ansia e il bornout, etc, è proprio sui rischi psico-sociali dello smart working che si combatterà la battaglia più importante. Il diritto alla disconnessione, ad esempio, sarà uno dei temi più delicati.
Il doveroso aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, pertanto, oltre alla problematiche legate all’ambiente di lavoro, dovrà dedicare la dovuta attenzione ai rischi stress- lavoro correlati e alla sorveglianza sanitaria dei lavoratori.