L’ampliamento della responsabilità amministrativa da reato ex D.Lvo 231/01 anche ai delitti associativi aveva fatto sorgere alcune perplessità tra i primi commentatori. Si temeva, infatti, che l’articolo 24-ter(che appunto, ha introdotto quale presupposto dell’illecito amministrativo anche i reati associativi) potesse fungere da “cavallo di Troia” e ampliare di fatto indebitamente il campo di applicazione del Decreto 231/01 anche ai reati scopo dell’associazione criminosa.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione (8785 del 4 marzo 2020) ha fatto chiarezza circa l’ambito di applicabilità dell’art. 24-terD.Lvo n. 231/2001, nel tentativo di scongiurare possibili profili di illegittimità.
Svolgendo un’approfondita analisi della disposizione normativa, la Corte ha disatteso le conclusioni di precedente giurisprudenza e ha stabilito che: “La responsabilità dell’ente resta limitata all’associazione”poiché “l’associazione per delinquere, in quanto lesiva dell’incolumità pubblica, si astrae dai reati-fine, che vengono in luce solo in quanto costituenti lo svolgimento del programma criminoso perseguito dagli associati”.
Ed infatti, se è vero che l’autore-persona fisica dovrà rispondere per tutti gli illeciti dei quali è accusato, è altrettanto vero che la persona giuridica potrà vedersi contestati solo quelli ricompresi nella elencazione tassativa del D.Lvo n. 231/2001, ossia il solo reato associativo richiamato dall’art. 24-ter.
Nessuna clausola aperta, nessun cavallo di Troia e nessuna violazione del principio di tassatività, dunque.
Allargare la contestazione ai reati-fine della associazione, specifica infatti la Corte, “creerebbe un vulnus circa la certezza dei confini delle aree di rischio per i soggetti interessati” con la conseguente inutilità del modello di risk assessmentderivante dell’impossibilità di mappare tutti i reati-fine che rientrano nei programmi delle associazioni criminali.
Se però, come detto, la contestazione non interesserà in nessun caso i reati-fine della associazione, in tema di confisca exart. 19 D.Lvo 231/2001 la decisione della Cassazione sembra un po’ più incerta, stante la possibile sovrapposizione tra il profitto derivante dal delitto associativo (confiscabile) e quello derivante dal reato-scopo (confiscabile solo se autonomamente costituente presupposto di responsabilità ex D.Lvo 231/01).
Nel caso in esame i reati-scopo erano di tipo “tributario”, commessi prima della recente riforma e, perciò, estranei al campo applicativo del D.Lvo 231/01.
Sul punto, la Corte, richiamandosi a precedenti decisioni, ha aggirato abilmente il problema tramite un’interpretazione articolata.
Il profitto dei reati-fine, in materia di responsabilità amministrativa degli enti, può essere sostanzialmente confuso con quello delle associazioni a monte poiché: “L’aggregazione criminale di cui alle fattispecie associative, in virtù proprio della sua articolazione organizzativa, facilita la commissione dei reati-fine, e mutua da questi il proprio profitto. Anche in ipotesi di reato associativo, dunque, è applicabile la confisca di quanto alla medesima societas derivi per il tramite dei reati fine, i quali rappresentano – mutuando il lessico aziendale – il suo “oggetto sociale”. Dunque effettivamente sono i singoli reati a monte a generare materialmente le entrate, ma queste si fanno profitto divisibile solo per il tramite della sovrastruttura costituita dall’associazione per delinquere. Il necessario passaggio dalle casse dell’associazione e dalle decisioni dei suoi vertici rende dunque il profitto dei reati-fine il profitto proprio dell’associazione”.
In conclusione, quindi, la Corte ha operato una netta distinzione, sul piano della responsabilità, tra illecito dell’ente e quello della persona fisica, stabilendo che il primo non può essere chiamato a rispondere dei reati-fine (che non compaiono nell’elenco del D.Lvo n. 231/2001) ma solo del reato-mezzo, cioè l’associazione per delinquere. Ma questa distinzione viene meno in tema di conseguenze patrimoniali dell’illecito penale: la sostanziale coincidenza tra il profitto dei due reati ne consente la confisca, anche se l’ente non è chiamato a rispondere dell’illecito che ne ha costituito la genesi.