Con l’introduzione nel nostro ordinamento penale, ad opera della legge n. 67 del 2014, dell’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, è stata concessa a quest’ultimo (e all’indagato) che non sia delinquente abituale, professionale o per tendenza, la facoltà di ottenere l’estinzione del reato attraverso la prestazione di lavoro di pubblica utilità.
La messa alla prova comporta, ma potremmo dire presuppone, la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose e pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del dannodallo stesso cagionato.
L’art. 168 bis c.p. prevede che l’imputato possa chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova per reati puniti con la sola pecuniaria o con la pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni di reclusione, nonché per delitti per i quali, ai sensi dell’art. 550 c. 2 c.p.p. è prevista la citazione diretta a giudizio.
Sulla scorta di tali condizioni, l’istituto si applica anche ad alcuni reati tributari previsti dal D.Lgs 74/2000.
In particolare, alla luce della riforma introdotta dal D.L. 124/2019, la messa alla prova potrà ormai applicarsi ai soli reati di omesso versamento di ritenute o Iva, indebita compensazione con crediti non spettanti e sottrazione fraudolenta per un ammontare complessivo non superiore a 200.000,00 euro. Prima delle modifiche, invece, vi rientravano anche l’infedele e l’omessa presentazione della dichiarazione delle imposte dirette e dell’Iva, per le quali sarà possibile beneficiare della messa in prova solo se commesse fino al24 dicembre 2019.
In caso di estinzione di un reato tributario a seguito dell’esito positivo del percorso della messa alla prova di cui all’art. 168 bis c.p., potrebbero comunque essere applicate le sanzioni accessorie di cui all’art. 12 del D.lgs 74/2000.
Nel caso oggetto della sentenza 3179 del 2020 della III sezione penale della Cassazione, una contribuente era imputata per il reato di omessa dichiarazione ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs 74/2000.
Nel corso del procedimento l’imputata chiedeva l’ammissione all’istituto della messa alla prova e il Tribunale, pur concedendolo, lo subordinava alla integrale estinzione del debito tributariocosì come quantificato dall’agente della riscossione.
Avverso tale ordinanza l’imputata presentava ricorso per cassazione lamentando laviolazione della norma di cui all’art. 168 bis c. 2 c.p. perché il tribunale non avrebbe tenuto conto dell’ammissione dell’imputata al patrocinio a spese dello Stato, così omettendo di effettuare alcuna analisi o ponderazione della situazione economica dell’imputata. La mancata effettuazione integrale del pagamento non poteva avere carattere di per sé ostativo, posto che la norma in questione richiede il risarcimento del danno “ove possibile”.
La Corte di cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso dell’imputata.
Con riferimento al primo motivo di ricorso i Supremi giudici ricordano che in tema di sospensione del procedimento per messa alla prova è illegittimo, in difetto della previa consultazione delle parti e del consenso dell’imputato, il provvedimento col quale il giudice modifichi il programma di trattamento elaborato ai sensi dell’art. 464 bis c.2 c.p.p.
Con riguardo al secondo motivo la Cassazione, poiché la norma prevede espressamente che ai fini della messa alla prova il risarcimento del danno deve essere effettuato “ove possibile”, ha escluso l’automatica subordinazione dell’accesso all’istituto all’integrale risarcimento del danno.
Nel caso degli illeciti fiscali, pertanto, la restituzione del debito erariale non potrà essere considerata quale condizione ostativa per l’ammissione dell’imputato alla messa alla prova.